TRIBUNALE DI TORINO 
                     Corte d'Assise - I Sezione 
 
    La 1ª Corte d'Assise composta da: 
        Alessandra Salvadori - Presidente; 
        Roberto Ruscello - Giudice a latere; 
        Alide Manfre' - Giudice popolare; 
        Francesca Polvere - Giudice popolare; 
        Anna Maria Lipari - Giudice popolare; 
        Rocco Cannone - Giudice popolare; 
        Valter Piccirillo - Giudice popolare; 
        Michela Castagnoli - Giudice popolare. 
    Esaminata l'istanza di revoca  o  di  sostituzione  della  misura
cautelare della custodia  in  carcere  con  quella  degli  AD  presso
l'abitazione dei genitori sita in..., via....  presentata,  ai  sensi
dell'art. 299  c.p.p.,  dagli  avvocati  Caterina  Calia  e  Ludovica
Formoso nell'interesse di M. A. ...; 
    Letto il parere contrario espresso dal pubblico ministero; 
 
                               Osserva 
 
    M. A. e' sottoposto  alla  misura  cautelare  della  custodia  in
carcere in forza di ordinanza emessa  dal  giudice  per  le  indagini
preliminari di Torino in data 7 settembre 2016 ed e' stato condannato
in primo grado con sentenza del 24 aprile 2019 alla pena di anni 5 di
reclusione per il reato di cui all'art.  270-bis  secondo  comma  del
codice penale in  quanto  ritenuto  partecipe  dell'associazione  con
finalita' terroristiche di stampo anarchico denominata... di  cui  al
capo A) dell'imputazione. 
    La richiesta di liberazione o sostituzione si basa sull'essere le
esigenze cautelari venute meno o, comunque sia, grandemente scemate. 
    L'intervenuta condanna di primo grado  esime  dall'affrontare  la
questione  concernente   la   sussistenza   dei   gravi   indizi   di
colpevolezza. 
    L'oggetto  della  presente  decisione  deve,  quindi,   ritenersi
limitato alla verifica della sussistenza di  esigenze  cautelari  che
giustifichino nel caso  di  specie  il  mantenimento  della  custodia
cautelare in carcere nei confronti di M. A. 
    Gli elementi su cui basare la valutazione in merito alle esigenze
di cautela sono, in estrema sintesi, quelli evidenziati nell'istanza:
il decorso di un periodo di tempo (3 anni e  2  mesi),  pari  ai  due
terzi della pena irrogata in primo grado (5 anni), durante  il  quale
il predetto e' stato  sottoposto  alla  massima  misura  di  cautela;
l'intervenuto giudizio, che ha disvelato cosa ed alcuni di coloro che
si celavano dietro l'acronimo...;  il  ruolo  non  comprimario  o  di
indirizzo, ma soltanto di ausilio di altri associati, che, secondo la
sentenza di condanna, il  predetto  avrebbe  svolto  all'interno  del
sodalizio, l'assenza  di  elementi  che,  anche  tenuto  conto  della
individuazione  e  detenzione  degli  altri  partecipi  del  medesimo
sodalizio...;  attestino  l'esistenza  in  vita  e  la   operativita'
dell'associazione. 
    In  relazione  a  questi  profili  si  osserva  che  la   durata,
certamente non minima, del periodo di carcerazione, non  consente  da
sola di  poter  formulare,  nei  confronti  di  un  soggetto  che  ha
manifestato una piena, risalente  e  convinta  adesione  al  progetto
anarchico  insurrezionalista,  di  ampio   respiro   portato   avanti
dalla...,  un  giudizio  di  pericolosita'   drasticamente   difforme
rispetto a quello gia' espresso. 
    Neppure   puo'   ritenersi   dimostrata    l'avvenuta    completa
«eliminazione» dell'associazione terroristica o  la  rescissione  del
vincolo associativo tra l'imputato e  i  sodali  in  conseguenza  del
tempo trascorso, delle indagini e della pronunzia della  sentenza  di
condanna. 
    Si  tratta,  infatti,  di  circostanze  che,  mentre  inducono  a
ritenere ormai  attenuate  le  esigenze  di  tutela,  soprattutto  in
conseguenza della individuazione e detenzione dei principali  sodali,
della assenza di attentati recenti rivendicati dalla..., nonche'  del
ruolo e della non riconducibilita' all'istante  di  alcuno  specifico
reato fine del sodalizio, non consentono di radicalmente escluderle. 
    A fronte di cio', occorre confrontarsi con il disposto normativo. 
    In tema di custodia cautelare in carcere, l'art.  275,  comma  3,
del codice di procedura penale, come novellato dalla legge n. 47  del
2015, pone nei confronti di chi e' indagato o imputato del delitto di
cui all'art. 270-bis  codice  penale,  una  presunzione  relativa  di
pericolosita' sociale e una presunzione assoluta di adeguatezza della
sola custodia cautelare in carcere. 
    Come gia' esposto in precedenti provvedimenti, questa  Corte  non
ritiene di poter aderire alla  diversa  opzione  interpretativa,  non
conforme alla lettera e alla chiara ratio della disposizione, secondo
la quale la presunzione di adeguatezza sarebbe dettata esclusivamente
per l'applicazione della  misura,  ma  non  sarebbe  efficace  in  un
qualsiasi  momento  successivo.  In   proposito,   pare   sufficiente
richiamare le convincenti e  complete  argomentazione  esposte  dalla
Corte di cassazione a Sezioni unite con ordinanza  n.  34473  del  19
luglio 2012 (con la pronuncia richiamata  la  S.C.  ha  affermato  il
principio secondo cui: «La presunzione di adeguatezza della  custodia
in carcere ex art. 275, comma 3,  del  codice  procedura  penale,  11
opera non solo in occasione dell'adozione del provvedimento  genetico
della  misura  coercitiva  ma  anche  nelle  vicende  successive  che
attengono alla permanenza delle esigenze cautelari»). 
    Ne consegue che, in assenza  del  superamento  della  presunzione
relativa, che comporterebbe la non applicazione  o  la  revoca  della
misura, resta valida la presunzione  assoluta  di  adeguatezza  della
sola detenzione in carcere; in forza di quest'ultima  presunzione  il
provvedimento di sostituzione  della  custodia  in  carcere  con  gli
arresti domiciliari e' da ritenere illegittimo (cfr. Cassazione  Sez.
1, n. 3776 del 28 ottobre 2015, che  ha  affermato  il  principio  in
riferimento  alla  sostituzione  della  misura  degli   AD   con   la
prescrizione dell'adozione del cosiddetto  braccialetto  elettronico,
motivato esclusivamente in riferimento alla sopravvenuta  carenza  di
proporzionalita' della misura custodiale rispetto alla pena irroganda
nel giudizio di merito). 
    La difesa dubita della legittimita'  costituzionale  della  norma
citata, ove letta nel senso di porre una insuperabile presunzione  di
adeguatezza della sola custodia carceraria nei confronti di  soggetti
imputati  per  il  reato  di  cui  all'art.  270-bis  codice  penale,
rilevando la  sua  contrarieta'  agli  articoli  3,  13  e  27  della
Costituzione. 
    A fronte di un dettato normativa inequivoco e  di  un'altrettanta
consolidata e chiara giurisprudenza, non risulta  praticabile  alcuna
diversa interpretazione  che  risulti  certamente  costituzionalmente
orientata. 
    Va,  quindi,  considerato  che  l'istante   ha   documentato   la
disponibilita'  dei  propri  genitori  ad  accoglierlo  agli  arresti
domiciliari presso la loro abitazione situata in un Comune di modeste
dimensioni. 
    Siffatta disponibilita' rende  in  concreto  praticabile  l'unica
misura che, per quanto gia' osservato, tenuto  conto  sia  del  ruolo
dell'istante sia  delle  peculiarita'  dell'associazione  in  oggetto
(dotata di una struttura assolutamente rudimentale, priva di  risorse
finanziarie e composta da un numero non  elevato  di  persone),  puo'
ritenersi adeguata nel caso di specie a  fronteggiare  le  residue  e
ancora  serie  esigenze  di  tutela  della   collettivita'   (arresti
domiciliari con divieto di comunicazione). 
    Cio' rende rilevante la questione di costituzionalita'  formulata
dalla difesa. 
    Ed invero, laddove l'art. 275, comma 3 del  codice  di  procedura
penale  non  impedisse  la  graduazione  in  concreto  della   misura
cautelare da applicare al caso di  specie,  questa  Corte  riterrebbe
perfettamente congrua e proporzionata alle esigenze attuali la misura
degli arresti domiciliari. 
    La questione e', poi, da ritenersi non manifestamente  infondata,
avuto riguardo ai principi esposti dalla Corte costituzionale con  le
numerose pronunce concementi proprio la presunzione di  cui  all'art.
275, comma 3 c.p.p. 
    Nello specifico, la Corte costituzionale, con l'ordinanza n.  450
del  1995,  ha  statuito  la  compatibilita'  della  presunzione   in
argomento con i principi costituzionali, rilevando che la scelta  del
tipo di misura non implica necessariamente l'attribuzione al  giudice
di un potere di apprezzamento in concreto, perche'  ben  puo'  essere
oggetto di una  valutazione  in  termini  generali  del  legislatore,
chiarendo tuttavia che una simile indicazione  deve  essere  compiuta
«nel rispetto  della  ragionevolezza  della  scelta  e  del  corretto
bilanciamento dei valori costituzionali coinvolti». 
    Con successivi interventi il Giudice delle leggi ha ridisegnato i
confini  delle  presunzioni  in  materia  cautelare,  dichiarando  la
illegittimita' dell'art. 275, comma 3, codice  di  procedura  penale,
nella parte in cui aveva esteso la presunzione di  adeguatezza  della
custodia carceraria, senza possibilita'  di  apprezzare  in  concreto
l'adeguatezza di altra e meno  afflittiva  misura,  tra  l'altro  nei
procedimenti per i reati di cui all'art. 609-bis, comma 1, 609-bis  e
609-quater codice penale (Cfr. sentenza n. 265 del 2010); per  quelli
di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, di cui all'art. 12,
comma 3, decreto legislativo n. 286 del 1998 (cfr.  sentenza  n.  331
del 2010); per il delitto di cui all'art. 74 decreto  del  Presidente
della Repubblica n. 309 del 1990 (cfr. sentenza n. 231 del 2011); per
il delitto di cui all'art. 416  del  codice  penale  realizzata  allo
scopo di commettere i delitti previsti dagli articoli 473 e 474 (cfr.
sentenza n. 110 del 2012). 
    Significativo, in particolare, che la Corte costituzionale,  dopo
aver ricordato che nel criterio di adeguatezza trova  espressione  il
principio del «minore sacrificio necessario», architrave del  sistema
cautelare personale, e che il ricorso alla custodia  carceraria  deve
essere residuale, rappresentando l'eccezione e la extrema  ratio,  ha
chiarito come le presunzioni di sussistenza delle esigenze  cautelari
e di adeguatezza della misura carceraria per i delitti  di  mafia  in
senso stretto si giustifichino proprio per le  peculiarita'  di  tali
delitti e per la natura specifica  del  fenomeno  della  criminalita'
organizzata di stampo mafioso. 
    Sempre la Corte costituzionale ha affermato  che  altri  delitti,
nonostante la loro oggettiva rilevante gravita', non implicano e  non
presuppongono necessariamente un vincolo di appartenenza permanente a
un   sodalizio   criminoso   con   accentuate   caratteristiche    di
pericolosita'. Una simile considerazione ha portato il Giudice  delle
leggi a ritenere incostituzionale la presunzione stabilita  non  solo
per  alcuni  delitti  individuali,  ma  anche  per  il   delitto   di
associazione finalizzata  al  traffico  di  sostanze  stupefacenti  o
psicotrope, affermando che la stessa  si  concretizza  in  una  forma
speciale del delitto  di  associazione  per  delinquere,  qualificata
unicamente   dalla   natura   dei   reati-fine,   che   non   postula
necessariamente  la  creazione   di   una   struttura   complessa   e
gerarchicamente   ordinata,   essendo   sufficiente   una   qualunque
organizzazione, anche rudimentale, di attivita' personali e di  mezzi
economici, benche' semplici ed elementari. 
    Allo  stesso  modo,   la   Corte   costituzionale   ha   ritenuto
irragionevole  la  presunzione  relativa  alla  fattispecie  di   cui
all'art. 416, c.p. realizzata allo  scopo  di  commettere  i  delitti
previsti dagli articoli 473 e 474  dello  stesso  codice,  in  quanto
priva di  quelle  connotazioni  normative  (forza  intimidatrice  del
vincolo associativo e  condizione  di  assoggettamento  ed  omerta'),
proprie dell'associazione di tipo mafioso; caratteristiche  idonee  a
fornire una congrua base  statistica  alla  presunzione  assoluta  di
adeguatezza,  aggiungendo  di  dover  escludere  «che   l'inserimento
dell'associazione per delinquere realizzata allo scopo di  commettere
i reati di cui agli articoli 473 e 474  codice  penale  tra  i  reati
indicati dall'art. 51, comma 3-bis, cod. proc.  pen.,  sia  idoneo  a
offrire  legittimazione  costituzionale   alla   norma   in   esame»,
trattandosi di una norma che  «risponde  a  una  logica  distinta  ed
eccentrica rispetto a quella sottesa alla disposizione  sottoposta  a
scrutinio ... ispirata da ragioni di opportunita' organizzativa degli
uffici del pubblico ministero, anche in relazione  alla  tipicita'  e
alla qualita' delle tecniche di indagine richieste da  taluni  reati,
ma che non consentono inferenze in  materia  di  esigenze  cautelari,
tantomeno al fine di omologare quelle relative a tutti i procedimenti
per i quali quella deroga e' stabilita». 
    Le ragioni che, ad avviso di questa Corte d'Assise, sostengono il
giudizio  di  non   manifesta   infondatezza   della   questione   di
costituzionalita'  in  esame,  si  sostanziano   innanzitutto   negli
argomenti,  quali  sopra  ricordati,  che  la  stessa  giurisprudenza
costituzionale  ha  gia'  utilizzato  per  eliminare  la  presunzione
assoluta di adeguatezza  della  custodia  cautelare  in  carcere  per
alcuni tipi di reato, anche associativo  (art.  74  del  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 309/90 e 416 codice penale  realizzato
allo scopo di commettere i reati di  cui  agli  articoli  473  e  474
c.p.). Si tratta di ragioni riassumibili nel rilievo che  il  vincolo
di appartenenza ad una organizzazione malavitosa, non puo'  ritenersi
di per se' solo inidoneo a giustificare la  presunzione  assoluta  di
adeguatezza della piu' afflittiva misura cautelare, in assenza  delle
altre  connotazioni  specifiche  del  legame  che  caratterizza   gli
appartenenti ad un'associazione di tipo mafioso. 
    Si sottolinea, inoltre, come la fattispecie  associativa  di  cui
all'art.  270-bis  c.p.  non  postuli   sempre   esigenze   cautelari
affrontabili esclusivamente con  la  custodia  in  carcere.  Infatti,
simili massime esigenze  sono  ineludibilmente  ravvisabili  solo  in
presenza  di  un   legame   associativo   connotato   da   specifiche
caratteristiche,   quali   la   forza   intimidatrice   del   vincolo
associativo, la condizione di assoggettamento e  di  omerta'  che  ne
deriva, la diffusivita' territoriale ed altre specifici requisiti che
sempre denotano le associazioni mafiose, ma  non  altrettanto  quelle
eversive e terroristiche. La fattispecie associativa in  oggetto,  si
presta, pertanto, a qualificare  penalmente  fatti  e  situazioni  in
concreto molto diversi  ed  eterogenei  tra  loro,  si'  che  non  e'
possibile  enucleare  una   regola   di   esperienza,   ricollegabile
ragionevolmente a tutte le declinazioni criminologiche del  fenomeno,
secondo cui la custodia carceraria sarebbe l'unico strumento idoneo a
fronteggiare le esigenze cautelari. 
    Del resto, la misura «estrema»  della  custodia  in  carcere  non
dipende da una valutazione «quantitativo» della gravita' dei delitti,
ma da una valutazione di tipo essenzialmente «qualitativo» tanto  che
il reato di cui all'art. 270-bis del codice penale (cosi' come quello
di cui all'art.  270  c.p.),  pur  nella  sua  elevata  gravita',  e'
comunque ritenuto dallo stesso legislatore meritevole di una sanzione
decisamente meno elevata rispetto ad  altra  fattispecie  associativa
(art. 74, decreto del Presidente della Repubblica n. 309/90) non piu'
richiamata. 
    In altri termini, parrebbero mancare, proprio per la  assenza  di
un paradigma normativa chiuso dei sodalizi in  esame,  anche  per  la
fattispecie di cui all'art. 270-bis del codice penale, quella congrua
«base  statistica»  idonea  a  rendere  certamente   ragionevole   la
convinzione che, nella generalita' dei casi,  le  esigenze  cautelari
derivanti dal delitto in questione non possano  venire  adeguatamente
fronteggiate se non con la misura carceraria. In altri  termini,  non
pare potersi fondatamente e ineludibilmente presumersi  che,  per  le
associazioni eversive-terroristiche, cosi' come per  quelle  mafiose,
soltanto il carcere possa tagliare i legami esistenti tra le  persone
interessate e il loro ambito  criminale  di  origine  e  limitare  il
rischio che esse mantengano contatti personali con le strutture delle
organizzazioni criminali e possano continuare a delinquere. 
    Come gia' rilevato dalla  Corte  costituzionale  con  riferimento
all'art. 74 del decreto del Presidente della  Repubblica  n.  309/90,
anche l'ipotesi  in  oggetto  «...  non  postula  necessariamente  la
creazione di una  struttura  complessa  e  gerarchicamente  ordinata,
essendo viceversa sufficiente  una  qualunque  organizzazione,  anche
rudimentale, di attivita' personali e  di  mezzi  economici,  benche'
semplici ed elementari, per  il  perseguimento  del  fine  comune.  n
delitto  in  questione  prescinde,  altresi',  da   radicamenti   sul
territorio, da particolari collegamenti personali  e  soprattutto  da
qualsivoglia specifica connotazione  del  vincolo  associativo  ...Si
tratta, dunque,  di  fattispecie,  per  cosi'  dire,  «aperta»,  che,
descrivendo in definitiva solo lo scopo dell'associazione e non anche
specifiche qualita' di essa, si presta a qualificare penalmente fatti
e situazioni  in  concreto  i  piu'  diversi  ed  eterogenei:  da  un
sodalizio transnazionale, forte di una articolata organizzazione,  di
ingenti risorse finanziarie e  rigidamente  strutturato,  al  piccolo
gruppo, talora persino ristretto ad un ambito familiare ...  operante
in un'area limitata e con i piu' modesti e  semplici  mezzi.  Proprio
per  l'eterogeneita'  delle  fattispecie   concrete   riferibili   al
paradigma  punitivo  astratto,  ricomprendenti   ipotesi   nettamente
differenti quanto a contesto, modalita' lesive del  bene  protetto  e
intensita' del legame tra gli  associati,  non  e'  dunque  possibile
enucleare una regola di esperienza, ricollegabile  ragionevolmente  a
tutte le «connotazioni criminologiche» del fenomeno, secondo la quale
la  custodia  carceraria   sarebbe   l'unico   strumento   idoneo   a
fronteggiare le esigenze cautelari». 
    Su tali basi, si ritiene rilevante e non manifestamente infondata
la questione di legittimita' costituzionale dell'art.  275,  comma  3
del codice di procedura penale, nella parte in  cui  - nel  prevedere
che, quando sussistono gravi indizi  di  colpevolezza  in  ordine  al
delitto di cui all'art. 270-bis del codice penale,  e'  applicata  la
custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai
quali risulti che non sussistono esigenze cautelati - non  fa  salva,
altresi', l'ipotesi in cui siano  acquisiti  elementi  specifici,  in
relazione al  caso  concreto,  dai  quali  risulti  che  le  esigenze
cautelati  possano  essere  soddisfatte   con   altre   misure   meno
afflittive, in relazione ai  seguenti  articoli  della  Costituzione:
art. 3, per l'ingiustificata parificazione dei procedimenti  relativi
al reato di cui all'art. 270-bis c.p. a quelli concernenti i  delitti
di mafia nonche'  per  irrazionale  assoggettamento  ad  un  medesimo
regime cautelare delle  diverse  ipotesi  concrete  riconducibili  ai
paradigmi punitivi considerati; art. 13, primo comma, quale referente
fondamentale del regime ordinario delle  misure  cautelati  privative
della liberta' personale; art. 27,  secondo  comma,  con  riferimento
all'attribuzione alla  coercizione  personale  di  tratti  funzionali
tipici della pena. 
    A norma dell'art. 23 della legge  11  marzo  1953,  n.  87,  deve
disporsi   l'immediata   trasmissione   degli   atti    alla    Corte
costituzionale e la sospensione, sino alla pronuncia e ferma restando
la  misura  cautelare  in  atto,  della  decisione  sull'istanza   di
sostituzione della misura cautelare. 
    La cancelleria provvedera' alla notifica di copia della  presente
ordinanza alle parti in causa  e  al  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri ed alla comunicazione della stessa ai Presidenti  delle  due
Camere del Parlamento.